22 Marzo 2021
Il Blog di RID 96.8 FM

IO NON SONO RAZZISTA, MA…

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Si celebra il 21 marzo la giornata internazionale contro il razzismo, istituita dall’Onu nel 1966

Si è concluso da poco Sanremo e un ritornello su tutti ci si è stampato in testa: quello di Willie Peyote, che sociologi e politici dovrebbe ascoltare per raccogliere quel “ma” come grido di aiuto di una civiltà che sta ingranando la retromarcia. Se sulla carta nessuno si dichiara razzista e tutti condannano le discriminazioni, a chi attribuire le responsabilità di comportamenti (anti)sociali al limite della xenofobia nel nostro Paese? Proprio oggi che fragilità economica, tensioni sociali e pandemia hanno reso ancor più stridenti le diseguaglianze, le contraddizioni e i pregiudizi, viene da chiedersi che fine abbiano fatto le conquiste per l’uguaglianza che hanno segnato tutto il Novecento dello scorso millennio. Si torna a parlare oggi di ius soli e ius culturae nel nostro Paese, ma a causa di una legislazione che guarda prevalentemente al passato, quella dello ius sanguinis, diventare italiano per chi nasce e studia nel nostro Paese è molto più difficile che per i discendenti di emigrati italiani nati all’estero e che lì risiedono stabilmente. A ricordarcelo sono i numeri del Dossier Statistico Immigrazione 2020, realizzato dal Centro studi e ricerche Idos, sugli stranieri in Italia che avverte anche: per gli irregolari aumenta la possibilità di cadere nelle mani della criminalità.  

Gli schemi con cui si tende a classificare l’umanità in base al colore della pelle non trovano riscontro nella genetica, eppure debellare false argomentazioni, stereotipi e mitologie sembra tutt’oggi impossibile. Per secoli sul colore della pelle, come su opinabili misure dell’intelletto, abbiamo  costruito schemi di classificazione razziale, e poi gerarchie di valore con gli europei di pelle bianca sempre in cima. Oggi tutto questo ci appare per quello che è, obsoleta pseudoscienza: la genetica ha dimostrato che contano gli individui e il loro DNA, non astruse categorie razziali. Nei nostri geni non c’è traccia delle differenze nette fra gruppi, cariche di valenze identitarie, che l’Ottocento immaginava: il 99,9 per cento del DNA è identico in noi e in qualunque sconosciuto. Ma in quell’uno per mille del genoma in cui siamo diversi sono rimaste tracce della nostra storia remota, che è poi la storia delle nostre migrazioni. Chi siamo non è chiaro; su dove andiamo (verso un disastro ambientale?) si può discutere; ma sappiamo di certo da dove veniamo (dall’Africa) e come, partendo da lì, abbiamo colonizzato l’intero pianeta. Tutte le odierne argomentazioni sul diritto di un popolo a risiedere o meno in una certa regione sono prive di fondamenti storici, perché nessun popolo rimane fermo per lunghi periodi e, se siamo sette miliardi e passa, sappiate che discendiamo tutti da poche migliaia di antenati africani, quindi le nostre genealogie sono strettamente intrecciate.

Ma allora, perché il mito della razza è ancora così vitale? Qui la biologia non c’entra più; bisogna lasciare spazio ad altre considerazioni: economiche, politiche, sociali. Se tutto quello che siamo e che facciamo fosse scritto nei nostri geni, allora le grandi disuguaglianze sociali, e, risalendo nel tempo, lo sfruttamento coloniale e lo schiavismo che le hanno generate, sarebbero fenomeni in fondo naturali, e come tali inevitabili. Si chiama determinismo biologico: una concezione del mondo che risale all’antichità, arriva fino a noi e promette (purtroppo) di durare nel tempo, perché chi ha avuto la fortuna di nascere con la pelle chiara in qualche parte dell’Occidente ne trae concreti vantaggi, a cui è difficile rinunciare. più o meno consapevolmente, più o meno colpevolmente.

Nel suo Identità e violenza, il premio Nobel Amartya Sen racconta che all’aeroporto di Heathrow, scrutando l’indirizzo sul suo modulo di immigrazione  che recitava “residenza del direttore, Trinity College, Cambridge” un agente in divisa gli chiese se il direttore fosse suo amico. Il quesito, dice Sen, era filosoficamente complesso, perché il direttore era lui! Ma al poliziotto questa possibilità non era neanche passata per la testa.

Fa sorridere, vero? E allora sarebbe ora di trascendere tutto questo, tenendo bene a mente che di razzismi ce ne sono tanti, multipli e trasversali, incarnati nelle discriminazioni di genere, sessuali, occupazionali, biologiche. Possiamo accomunarle tutte, perché tutte hanno la medesima matrice: l’ignoranza, su cui gioca facile la paura. Possiamo e dobbiamo combatterli tutti, facendoci parte attiva di una rivoluzione culturale che il mondo attende da tanto, troppo tempo. 

Eleonora De Nardis

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