Il Cinema italiano ai tempi del Covid19

Lavoro nel mondo dell’audiovisivo da molti anni, abbastanza per avere il tempo di assaporarne molte fasi, soprattutto ho vissuto il lungo ponte di sola andata che è internet. Perché di questo stiamo parlando … di come il web abbia cambiato il destino del cinema e di come l’emergenza Coronavirus abbia accelerato i processi già in atto.
Dirigo da otto anni festival dedicati all’audiovisivo webnativo: prima il Roma Web Fest e oggi il Digital Media Fest (https://www.digitalmediafest.it/) e sono membro del CNA cinema e audiovisivo, che rappresenta produttori indipendenti, tutte le imprese, dalla produzione alla distribuzione passando per la post produzione, ma anche le industrie tecniche, i fornitori di beni e servizi fino agli esercizi cinematografici, ai festival e alle rassegne. Pensiamo quindi a quante persone lavorino per tutti questi comparti.
Qualche numero sul settore del Cinema
Stiamo parlando di un settore che vale il 4,5% del Pil nazionale, con oltre duemila aziende che danno occupazione a 250 mila persone tra addetti, diretti e indotto. È un settore con un fatturato di 4 miliardi di euro e che negli ultimi 6 anni ha registrato una crescita media del 6%.
Ora vorrei riflettere su alcuni aspetti di questa crisi
Il Cinema e la digitalizzazione
Mentre la Lamborghini qualche settimana fa ha annunciato il record di vendite, il cinema sembra che sia giunto alla sua fine con la stessa Disney che dichiara di voler privilegiare i contenuti in streaming a discapito della sala, e mentre parliamo di sale, c ‘è chi discute della fusione tra corpo umano e tecnologie, di visori in realtà virtuale, interfacce cervello/computer e di realtà aumentata. Ad Hollywood, proprio ora, si concentrano sul cinema virtuale in quanto lo ritengono molto economico perché si lavora in una unica location che è lo studio virtuale, oltre alle ragioni di sicurezza (si evitano spostamenti di uomini e mezzi da una location ad un’altra). La troupe è di numero inferiore e molto specializzata.
Parlando in tutta onestà sappiamo che per quanto riguarda l’Italia la digitalizzazione, e i rinnovamenti tecnologici sono da tempo alla portata di tutti, ma pochi si sono aggiornati, e il modello di sala attuale è probabilmente da rivedere. La stessa filiera era in programma che cambiasse. Diciamo che il Covid19 ha accelerato i tempi.
Io, però, non parlo di tempi che portano alla fine di un’epoca, parlo di tempi di innovazione, non di chiusura di settori importantissimi per il nostro Paese, per la nostra cultura, per tutte le famiglie che vi lavorano.
Vi do altri spunti su cui riflettere.

Streaming e pandemia
Pensate che con 2 miliardi di investimento la piattaforma streaming Quibi chiude i battenti. Quindi non è detto che lo streaming sia vincente a prescindere. Ci sono film che vanno visti in sala perché attraverso la tecnologia delle sale cinematografiche si possono apprezzare la tecnica, i piani sequenza, ma soprattutto si può vivere un’emozione che altrimenti andrebbe persa o comunque non sarebbe così intensa. Lo streaming è uno strumento importantissimo per tutti quei film che fanno fatica a raggiungere le persone in sala. Con la pandemia si è accelerato un processo importante che impone di rivedere i parametri di accesso ai fondi, dove l’uscita in sala non dovrà essere sempre “Conditio sine qua non”. Si è infatti chiesto al MIBAC una deroga in modo da poter usufruire del tax credit, oltre ad altre agevolazioni per i film anche senza l’uscita in sala, ovvero assimilando quest’ultima all’uscita su una piattaforma online.
Allo stesso tempo, questa situazione di stravolgimenti presenta alle produzioni indipendenti un’ottima possibilità di essere distribuiti poiché le piattaforme basate sulla distribuzione “via Stream” hanno bisogno di tanto buon materiale e non privilegiano una produzione solo perché è “importante”, ma si guarda al valore del prodotto.
Dunque, un certo cinema vive un momento di impasse tra incertezza e opportunità.
Dobbiamo considerare che i titoli minori italiani e internazionali possono essere distribuiti direttamente in televisione o sulle piattaforme digitali (Netflix, Chili, Timvision, Raiplay e così via).
E questo non deve più essere considerato un piano B. Ad esempio con l’inizio della pandemia, la Universal ha deciso di distribuire Trolls World Tour direttamente in PVOD (premium video on demand), così il sequel di Trolls, rilasciato sulla piattaforma Hulu il 10 aprile, ad oggi ha totalizzato ben 5 milioni di noleggi, sfiorando il tetto dei 100 milioni di dollari. Il film ha già generato più profitti del primo capitolo.
In Italia c’erano settori del cinema che andavano riformati. C’erano abitudini economiche che non erano più moderne, come lo sfruttamento orizzontale dei film. Distribuire 200 copie di un film per 3 settimane e poi farle sparire forse non è il sistema migliore da perseguire. Prima del Covid19 avremmo parlato della carenza di schermi in Italia… oggi si parla di adeguamento e modernizzazione delle sale. il modello di business e la finestra temporale tra cinema, TV e piattaforme cambierà, ma è necessario che ciò avvenga in modo costruttivo, e non unilaterale. Da noi la rivoluzione digitale delle OTT e delle Serie ha cambiato troppo poco, industrialmente parlando, e sul prodotto non c’è stata ancora la vera rivoluzione di contenuti e linguaggi come invece è avvenuto nel resto del mondo, perché in molti casi le energie rappresentate per lo più dai giovani creativi e dalle micro-imprese lamentano di non riuscire a sviluppare progetti di Audiovisivo seriale, semplicemente perché la filiera di produzione sembra bloccata a collaborazioni di vecchia data. In questo senso, questo momento destrutturante può rappresentare una grandissima occasione.
Investire nell’innovazione per far ripartire il settore del cinema
Dunque, per la ripartenza è necessario investire nell’innovazione delle strategie di distribuzione (sfruttando le piattaforme) e delle tecniche di produzione, facendo leva sulle nuove tecnologie, quali ad esempio la realtà aumentata, interattiva o virtuale che possono aiutare ad abbattere tempi e costi di produzione e ridare speranza anche alle sale che si confermano il comparto più vulnerabile della filiera. Per poter prosperare nel post Covid19 credo sia fondamentale che gli esercenti attuino un cambio di strategia, passando da un modello di business incentrato sul film ad uno orientato allo spettatore. Il tutto si potrà attuare in primis attraverso investimenti per una riqualificazione immobiliare e tecnologica delle sale.
Perchè investire nelle sale cinematografiche?
E cosa si può rispondere a tutti quelli che diranno “ma se così non andavano bene, perché investire sulle sale”?
Per farlo voglio ricordare dei dati importanti:
L’inizio del 2020 nel settore cinema era il coronamento di un 2019 positivo per l’Italia, che aveva fatto registrare la crescita percentuale maggiore in Europa in termini di incassi e presenze e fino al 20 febbraio il botteghino italiano aveva mostrato un incremento del 25% rispetto ai primi mesi del 2019.
Nel 2019 il mercato mondiale dell’intrattenimento (cinema, home video e mobile) aveva superato per la prima volta i 100 miliardi di dollari (+8% sul 2018).
Nell’Unione europea, i cinema avevano registrato i migliori risultati degli ultimi 15 anni con oltre 8,5 miliardi di euro al box office. l’Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo aveva stimato oltre un miliardo di presenze per il 2020 (persone libere che sceglievano di andare al cinema nonostante le sale non fossero ancora tecnologicamente innovative).
Il Cinema non è morto!
Inoltre, la Legge Cinema e Audiovisivo, iniziava a sortire gli effetti sperati.
Nel triennio 2017-2019 sono stati stanziati in totale 1,399 miliardi di euro, tra incentivi fiscali, contributi selettivi ed automatici e sostegno alla promozione ed enti di settore. l’ulteriore dimostrazione della forte vitalità del settore è la manovra di fine anno, che ha rifinanziato il tax credit con 75 milioni di euro.
Quindi a chi dice che il cinema è morto, bisogna rispondere con i numeri che non mentono!
La situazione è improvvisamente precipitata a febbraio: L’ultimo weekend di apertura dei cinema ha fatto registrare al box office un incasso di uno sconfortante -95,41% sul 2019. Con il lockdown oltre 4000 schermi hanno chiuso i battenti con la sospensione dal lavoro per oltre 6mila addetti diretti: solo in termini di box office, si sono oltre 120 milioni di euro di incassi.
Lo Stato deve intervenire in favore delle piccole produzioni cinematografiche
Aggiungo che In questo momento bisogna anche intervenire sugli aiuti alle produzioni perché gli enormi costi di mascherine, sanificazioni e tamponi strozzano soprattutto le piccole produzioni: si è calcolato che sei settimane di set, oggi abbiano un ulteriore costo di 150 mila euro di spese. Ciò significa che il film potranno girarli solo poche grandi produzioni.
Lo Stato deve intervenire perché c’è una parte di spese che devono essere sostenibili, e qui chiediamo che ci sia un finanziamento sul merito, in quanto l’eccellenza artistica serve a migliorare il linguaggio, la sensibilità e la cultura di tutti.
Cinema, teatri, bar, ristoranti… sono tutte attività nelle quali si sostiene la condivisione, il confronto e non solo lo svago (che comunque ritengo sia importantissimo). Il cinema è un’esperienza collettiva. Se manca la collettività, manca anche il cinema.
Se ora si chiudono i cinema e i teatri, in un tale clima di incertezza e con la mancanza di tempi tecnici per il lancio dei film, e degli spettacoli, si salterebbe la stagione più fruttuosa per le sale (il Natale) e se ne riparlerebbe in primavera.
In questo modo si mina dal profondo il mondo della cultura, e con la cultura si mangia eccome: infatti guardando alle industrie culturali e creative (secondo i dati del 2015) con oltre 41 miliardi di euro, il settore creativo in Italia si collocherebbe subito dopo l’industria chimica (50 miliardi) e davanti a quello delle telecomunicazioni (38 miliardi).
Il lavoro non è solo di chi è in cassa ad un supermercato o in un ufficio notarile. Il lavoro è di chi produce per la collettività. E il mondo dell’arte e dell’intrattenimento lavorano per le persone. La vita infatti non è solo lavorare e mangiare e dormire. Questo è sopravvivere, mentre la vita è riflettere, condividere, emozionarsi. Se togliamo ogni forma d’arte, l’unica cultura che resterà sarà quella del terrore e a quel punto saremo solo bambole di pezza che rinunceranno a tutto pur di sentirsi al sicuro.
La cultura ci permette di scegliere.
E aggiungo che guardare le cose in modo analitico, cercando di analizzare anche i numeri del contagio nelle sale (numeri che ad oggi sono praticamente inesistenti) non vuol dire essere negazionisti, ma significa avere l’opportunità di esprimere concetti sensati, con garbo, chiedendo rispetto e riscontro e affermando la necessità del libero pensiero dei singoli individui. La condizione di distanziamento sociale (un termine così brutto e inopportuno: dovrebbe essere un distanziamento fisico e non sociale), in cui tutti ci troviamo ci mette di fronte al pregiudizio nei confronti di chiunque. Si realizzano i timori di Orwell e temiamo un Natale in cui i figli potrebbero denunciare i padri per il mancato rispetto delle regole. In una normale guerra ci si unisce nei confronti del nemico. Oggi, il nemico può essere chiunque, anche la persona che amiamo di più può essere quel portatore asintomatico che tanto temiamo.
E allora teniamo vive la letteratura, il cinema, le serialità televisive e tutto ciò che potrà farci evadere (o “liberarci”) in tutti i modi possibili, anche solo per guardare da un altro punto di vista il “luogo” fisico, o quello mentale, in cui potremmo essere rinchiusi.