DONNE, FATE TUTTE UN PASSO AVANTI!

Esiste un luogo dove si rifugiano le donne che vogliono essere ben accette, perché è lì che sanno di corrispondere a tutti i dettami sociali. Una comfort zone si direbbe oggi in cui, al di là di ciò che desiderano o di ciò che non vorrebbero affatto, sanno di essere nella casella giusta, dov’ è opportuno sorridere in silenzio o parlare solo se è richiesto e consentito, in cui stare sedute composte, con risate garbate, opinioni moderate, distacco dal cibo, capacità di ascolto, ruoli di contorno o mansioni di accudimento. Quel posto è “un passo indietro”.
A sentire la politica, ad accendere la tv, a leggere i quotidiani, ancora oggi il maschile sembra l’unico modello riconoscibile al comando mentre le donne, pur essendo presidenti di potenti Paesi, dirigenti del più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle e molto altro ancora, non sono riconosciute come loro spetterebbe, soprattutto sui luoghi di lavoro.
Sin dal 1919 in Italia siamo state ammesse all’esercizio di tutte le professioni e impieghi pubblici, con l’esclusione – non casuale – della difesa militare dello Stato e della magistratura. Fino al 1963 ci fu negato l’accesso come giudici, ritenute inette e squilibrate perché munite di isteros, in greco utero.
Queste argomentazioni allora furono declamate da tanti, persino tra i padri Costituenti. La Giustizia era affare loro. Così come la Politica, l’Esercito, lo Sport professionistico.
Ma oggi neanche la toga, la divisa, il camice o un tailleur maschile ci fanno dire che sì, ce l’abbiamo fatta.
Oggi tutto ci spinge a un passo indietro: ci laureiamo prima e meglio degli studenti maschi ma il lavoro femminile è spesso precario, a volte neanche riconosciuto, come quello domestico e di cura. Per essere presenti sul lavoro rimandiamo la maternità e, pur di lavorare, sopportiamo di essere pagate meno dei colleghi. Ci pieghiamo ad austere regole di un gioco che non ci appartiene, perché lo hanno scritto altri e alla fine lo giocano solo loro. La politica continua a promuovere la conciliazione casa-lavoro, laddove la parola condivisione non è neanche lontanamente contemplata. Il mondo della musica paga il modello del rapper violento e sessista e quello della tv difficilmente darebbe spazio a una donna del peso (fisico) di Giuliano Ferrara o con i capelli bianchi alla Enzo Biagi.
Così “un passo indietro” è il posto più caldo dove rintanarci, perché essere riservate e silenti restano – insieme a una straordinaria bellezza- le uniche qualità necessarie ad accedere, seppur da una serratura, a un mondo maschio.
Vero è che quelle di alcuni giornali, di certi spot, di specifici modi di dire sono solo parole. Non vogliono avallare alcuna cultura della violenza e dell’amore proprietario. Ma è proprio la negazione del valore di quelle parole – usate per esprimere concetti, e quindi idee – è la negazione stessa di quella cultura.
Sottrarsi a questi meccanismi di ghettizzazione sessista e paternalistico ammonimento non è facile; le donne che rifiutano di rimanere un passo indietro vanno a smuovere terremoti, a scardinare pilastri ancestrali, a distruggere certezze. Danno fastidio. Fanno paura. Ma siamo davvero pronte a questa svolta epocale? Prime vittime degli stereotipi di genere, ne siamo tradizionalmente anche il primo veicolo. Viene da chiedersi: siamo davvero coese e organizzate per fare questo salto di qualità? O piuttosto soffriamo ancora di gelosie e invidie reciproche, ci guardiamo con diffidenza e additiamo all’aspetto o all’abbigliamento della prima che tra noi arriva a una posizione apicale? E le donne che conquistano il timone della nave, sono davvero pronte a buttar giù un’ancora che raccolga e porti a bordo anche tutte le altre?
Gli uomini sono stati addestrati da secoli di patriarcato a far squadra; noi, al contrario, patiamo un atavico ritardo nell’ottica della cooperazione, della sorellanza, inchiodate allo stereotipo della subordinazione. A imporci di partire svantaggiate spesso siamo proprio noi, nella nostra miope emulazione di dinamiche e percorsi maschili, senza il coraggio di percorrere vie originali alla nostra affermazione, per il timore di essere considerate frivole se ci curiamo del nostro aspetto o per il senso di colpa di aver fatto tardi per colpa di una riunione e di non aver preparato in tempo la cena. Siamo diverse dagli uomini, è vero. Siamo capaci di occuparci di molte più cose, spesso nello stesso momento. Siamo più resistenti, più caparbie, più tolleranti, più accoglienti.
Questi sono punti a nostro favore. Noi siamo abbastanza. Insegniamo alle nostre figlie che loro sono abbastanza, affinché la società intera possa andare avanti non uno, ma mille passi, riscrivendo insieme, donne e uomini, una nuova grammatica dei rapporti tra i generi.
Eleonora de Nardis